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Piccini 1882

Gli strumenti dell’enologo: Mario Piccini conversa con Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi.

Mario Piccini e Riccardo Cotarella discutono del ruolo dell’enologo, visto come un trasformatore e comunicatore del vino. Riccardo sottolinea il legame viscerale tra vino e produttore e consiglia ai giovani enologi di bilanciare passione e consapevolezza del mercato, senza trascurare l’importanza della gavetta. Parla anche dell’importanza dei viaggi per comprendere il legame tra vino, territorio e cultura, evidenziando come la conoscenza sia fondamentale per creare vini che rispettino natura, tradizione e abitudini dei consumatori.

M: Riccardo, c’è una cosa del tuo lavoro che mi ha sempre affascinato. Possiamo dire che l’enologo, in fondo, è un trasformatore, un abile professionista dotato, però, anche dei crismi del comunicatore, in virtù di quel continuo dialogo che intreccia col vino.

R: Ti ringrazio Mario. È proprio così: il vino è una materia viva, un figlio che cresce e si alimenta della passione del suo “genitore”. E come in un qualsiasi rapporto, di contro, il vino restituisce ciò che tu gli hai dato, tessendo una relazione viscerale col suo creatore. Quel vino, infatti, porterà impresso nel suo carattere l’educazione che gli hai impartito, divenendo di fatto un prolungamento delle idee e della filosofia di una persona, tenendo sempre bene in mente anche il destinatario finale, ovvero il consumatore.

M: E tu certamente in questo sei un maestro. In virtù della tua ricchissima esperienza, quale consiglio daresti ai giovani che si affacciano per la prima volta al mondo dell’enologia?

R: Innanzitutto, lasciami dire che sono molto felice del numero crescente di giovani che si interessa a questa professione. Ciò mi rende orgoglioso e sicuro del futuro prospero dell’enologia, specie perché vedo in loro il fuoco vivo della passione. Inoltre, rispetto alla mia generazione, hanno una maggiore consapevolezza, dovuta ad una visione più lucida del loro percorso: sanno che ogni loro mossa non può prescindere dal mercato. Alle volte, se mi è concessa una piccola critica, questo atteggiamento si accompagna a qualche pretesa di troppo, rifiutando quella sana gavetta che ognuno di noi si è fatto, trainando i carrelli dell’uva. Ciò non toglie, tuttavia, che conoscano bene le nuove dinamiche che governano il mondo del vino e sanno che dovranno sfruttarle al meglio per avere successo in questo settore. Come anch’io non mi stanco mai di ripetere loro, il nostro punto di arrivo non deve essere il nostro gusto personale, ma quello del consumatore, rispettando, in primis, l’ampia diversità dei palati.

M: E questo ci porta ad un altro aspetto centrale del tuo lavoro: i continui viaggi per esplorare le nuove forme del gusto e i territori di ogni angolo del mondo.

R: Hai perfettamente ragione, tutto parte da lì. In fondo, pare una banalità, ma è giusto ricordarlo, se non ci fosse la Madre Terra coi suoi cicli stagionali non avremmo il vino. Rispettare e proteggere i ritmi della natura è il primo comandamento per ognuno di noi, a maggior ragione nel settore vinicolo. Allo stesso tempo, è essenziale anche il fattore umano e culturale che, nel corso dei secoli, si è intrecciato con quel territorio. Conoscere tutti questi elementi è essenziale per poter proporre un vino che sappia interagire appieno con il consumatore finale e con le sue abitudini. Per esempio, in Giappone – paese in cui seguo un’importante azienda vinicola – la base dell’alimentazione è il pesce; ciò significa che sarebbe fuorviante proporre un abbinamento con un vino rosso strutturato. Al contrario, l’abbinamento ideale sarà con un bianco aromatico, capace di esaltare le componenti della cucina locale. Questo breve excursus per sottolineare come la conoscenza, in questo lavoro come in tutti gli altri, è fondamentale per effettuare delle scelte vincenti, sempre all’insegna del massimo rispetto nei confronti delle uve e del territorio.

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