Mario: Fin da bambino, sei sempre stato curioso. Mi ricordo che sgattaiolavi dovunque, alla continua scoperta del mondo. Non ci si poteva distrarre un secondo, che già ti eri arrampicato su qualche albero, per poter guardare meglio oltre l’orizzonte. E mi rende immensamente felice sapere che, a distanza di anni, non hai perso questo fuoco che ti porta, oggi, ad esplorare le frontiere del vino.
Michelangelo: Hai ragione babbo, da piccolo ero abbastanza “vivace”, ma, in fondo, era difficile non rimanere incantati dalle vigne e dal lavoro in cantina. Ancora oggi, conservo con affetto un piccolo quadretto familiare: tu ed il nonno, con le mani conserte a passeggiare tra le botti, saggiando il mosto e discorrendo delle future evoluzioni del mosto. E assieme al vino, maturava anche la mia passione per questo mondo, nata dal contatto quotidiano con la terra e coi grappoli. Col tempo, ho iniziato ad interessarmi sempre di più all’intera filiera, dal chicco d’uva sino alla commercializzazione del vino, con la soddisfazione di un genitore che segue il proprio figlio lungo tutto l’arco della sua vita.
Mario: Questo mi fornisce lo spunto per un’altra riflessione. Detto entre nous, cosa pensavi dell’azienda, prima di metterci piede?
Michelangelo: In tutta onestà, vista dall’esterno, Piccini mi appariva come una montagna difficile da scalare. Credevo che non sarei stato all’altezza della sua storia e della sua pesante eredità. Eppure, quando sono entrato in azienda, ogni cosa ha trovato il suo posto e i timori di non farcela si sono trasformati in sfide e in opportunità. In fondo, ha ragione mia sorella Benedetta quando afferma che noi fratelli assieme formiamo le dita di una sola mano. Tuttavia, questo non significa che ogni giorno sia sempre rose e fiori; al contrario, cerco di mantenere un atteggiamento critico, tentando di stanare eventuali difetti e imperfezioni nel mio lavoro. Questo sentiero, come ci hai sempre insegnato, passa dall’ascolto reciproco e dall’esercizio costante della trasparenza verso gli altri. Ed è così che abbiamo mosso i primi passi in azienda: a testa bassa e assimilando gli strumenti del mestiere, ma sempre spinti dal desiderio di imparare al meglio per poter pedalare con le mie gambe.
Mario: E, infatti, questa è una delle qualità più genuine che ti riconosco: il tuo forte senso di competizione. Non ti piace molto arrivare secondo. Qua, però, come la mettiamo?
Michelangelo: Eh, stavolta è molto tosta, anche perché non si tratta di uno scatto nei cento metri, ma di una maratona. E le maratone, babbo, non si vincono con la smania di vincere subito, ma con la costanza e la strategia, dosando le forze e capendo quando è il momento giusto per affondare.
Mario: E, soprattutto, sono i più giovani a vincerle!
Michelangelo: Io questo non lo volevo dire… (ride, n.d.r.). Al momento, siamo ancora lontani, ma vedrai che piano piano riusciremo ad essere al tuo passo!

