Che sia per la vivace effervescenza o per la loro piacevolezza, le bollicine vantano da sempre un fascino particolare. Eppure, sono passati a malapena 400 anni da quando l’uomo ha scoperto i segreti della spumantizzazione. Ma come si producono le bollicine?
C’è più di un modo per ottenere uno spumante, il più antico e diffuso è il cosiddetto Metodo Classico, impiegato per la produzione dello Champagne. Nato in Francia, nel XVII secolo, il Metodo Classico prevede una seconda fermentazione del vino direttamente in bottiglia. Dopo aver ricevuto una prima fermentazione, il vino viene imbottigliato, aggiungendo zuccheri e lieviti che formano il cosiddetto liquer de tirage. Lentamente, i lieviti agiscono trasformando gli zuccheri in alcol e anidride carbonica, producendo le caratteristiche bollicine (perlage). L’esposizione ai lieviti può durare da un minimo di 18 mesi, fino a molti anni, rendendo, col passare del tempo, sempre più elegante e complesso il profilo organolettico del vino. Questa reazione chimica produce dei residui, le fecce dei lieviti. Per agevolare la loro rimozione, la bottiglia viene gradualmente ruotata, fino a raggiungere la posizione verticale, permettendo ai residui di raccogliersi lungo il collo della bottiglia. Per compensare la perdita di volume del vino, dovuta alla rimozione delle fecce, viene aggiunta una speciale soluzione a base di zuccheri (liqueur d’expedition) la cui composizione varia da cantina a cantina.
Per lunga parte della storia del vino, questo fu l’unico procedimento conosciuto, fino agli sgoccioli dell’Ottocento, quando un enologo piemontese rivoluzionò il mondo del vino. Stiamo parlando di Federico Martinotti, classe 1860, nativo di Villanova Monferrato. Uomo integerrimo e di grande rigore scientifico, Martinotti brevettò un metodo innovativo nell’arte di produrre le bollicine, sviluppando la seconda fermentazione non in bottiglia, come per il Metodo Classico, ma in un grande recipiente in ferro, abbattendo così i costi di produzione. Il processo venne poi affinato e messo in pratica dal francese Eugene Charmat, agli inizi del Novecento. Nasceva così il Metodo Charmat-Martinotti, che prevede una seconda fermentazione in autoclavi in acciaio inox. Qui, il vino affina sui lieviti per qualche mese, producendo vini che pur non toccando i vertici del Metodo Classico, vantano una grande freschezza e un intenso profilo aromatico.

